Stilografiche ed inchiostri (intervista di Sergio Masini)
Si afferra una biro, si firma un foglio, si traccia un appunto. Certi gesti si consumano in sé stessi, meccanici, troppo rapidi alle volte per restituire l’enorme fagotto del loro perché, della tradizione, storia o della profonda simbologia che li accompagna, che li associa a oggetti unici di un vissuto lontano.Se ci fermassimo a riflettere su quel troppo spesso scontato strumento di scrittura, se volessimo dedicare del tempo alla sua perduta poesia, se ne potrebbe parlare per ore. Cosa che noi abbiamo fatto. Sì perché la perfezione sta a volte nelle piccole cose, nel fermare il mondo per coglierne un particolare. Abbiamo scelto di parlare ed intenderci un po’ di calami e stilo, e l’abbiamo fatto con chi della passione per le penne ne ha fatto un lavoro ma, soprattutto, uno stile di vita. Così, percorrendo una via del centro storico, ci ritroviamo davanti ad una vetrina che piace per la sua semplicità. All’interno aspetta Maurizio Abrami, titolare con la moglie Maria Lazzaroni del negozio “Lazzaroni – gioielli per scrivere”.
Sappia che ho con me una dozzinale biro recuperata, credo, in un qualche albergo l’estate scorsa
“Beh, ogni penna o biro, persino ogni matita ha una sua storia: è dopotutto questo che le rende così speciali”.
La sua è una passione che viene da lontano.
“Credo che, come un po’ per tutti, il legame con gli strumenti di scrittura mi derivi dalla scuola, e conservi di essa tutta una varietà di sensazioni e ricordi. Rammento ad esempio che da piccolo era una gioia quando mio nonno, accompagnandomici, mi comprava delle matite: non erano intestate e cercavo di conservarle così il più a lungo possibile… C’era d’altronde un tempo più cura per i propri strumenti, e più rispetto. A scuola, poi, vigeva il gusto-dovere (oggigiorno spesso perduti) per il bel scrivere, per la buona grafia. S’imparava a tratteggiare lettere e parole al primo anno, fino in terza era d’obbligo la stilografica, e solo dopo era concesso di passare alla biro. Devo dire, tuttavia, che sono andato avanti a lungo ad usare le stilografiche ogni qualvolta dovevo volgere in bella copia un compito o stendere una lettera”.
Perché proprio la stilografica, quando con le biro non ci si sporca o non s’imbratta il foglio?
“Perché con la stilografica si scrive meglio, si è costretti a riflettere, a prestare attenzione a quello che si fa ad ogni tratto. Con una stilografica in pugno il fluire di ciò che hai dentro si riversa sulla pagina un po’ alla volta, lento, con più coscienza e cura di quanto non faresti con la biro. Una calligrafia più delicata aiuta poi a contestualizzare il momento, ti ricorda che scrivere è una forma di rispetto offerta al futuro lettore. In ultimo ogni stilografica si modella ed adatta alla mano della singola persona: è come se ci fraternizzasse, e come ritrovasse un amico ogni qual volta viene estratta dalla custodia. Aggiungiamo che non si rischia più di ferirsi con i pennini appuntiti, che le stilografiche in commercio permettono in un attimo di cambiare le cartucce e che sono più ecologiche: davvero non capisco perché nelle scuole non s’insista per utilizzarle”.
Forse perché restituiscono l’idea di un oggetto-dono per cresima o laurea, da conservare poi in un cassetto, troppo costoso per portarselo dietro tutti i giorni.
“Ma non deve per forza essere così: ci sono stilografiche di tutti i prezzi per tutti i gusti. Io ad esempio amo tenerne in tasca più di una, e le cambio in base al periodo, alle necessità o al gusto del momento. Sono amiche che ho imparato a conosce e trattare con cura. Mi piace l’idea di mantenere in buona forma e funzione quella che ho ereditato da mio padre così come il fatto di affidarle un giorno a mio figlio. E pensate al fatto di scegliere una penna per sé, di studiare, indagare e recuperare un piccolo pezzo d’arte e storia, magari degli anni ’30, in ebanite, oppure individuare fra mille modelli di recentissimo design, quella che proprio sembra raccontare un po’ del vostro modo d’essere. Al contrario di una biro usa-e-getta una stilografica, poi, può essere personalizzata, tarata e scelta in base alla mano di chi dovrà impugnarla o all’uso che questi ne farà… sì perché una sua prerogativa è proprio questa: calibrare il pennino sul ritmo di scrittura, sull’inclinazione e sul peso della mano in modo esclusivo e mirato. Inoltre, Quando ad esempio mi capita che un cliente chieda una penna per fare un presente, cerco sempre di farmi descrivere al meglio la personalità del destinatario, chi è, cosa fa, se è una persona introversa o allegra e socievole, se è riflessiva o dinamica: così facendo non si dona solo un oggetto, ma un simbolo di ciò che si pensa e si desidera per lui! Lei ad esempio… provi un po’ a continuare a prendere appunti con questa vecchia stilografica”.
Certo, sentendola parlare, fa un certo effetto e davvero l’inchiostro scorre delicato sul foglio.
“Mi piace pensare che l’inchiostro si riversi, da liquido bruno conservato in una boccetta, all’interno di una penna (tante sono le modalità di aspirarlo), per quindi passare al foglio (anche con un po’ di mistero per come possa magicamente scrivere e non macchiare), commisto delle sensazioni di chi scrive, portando con sé qualcosa in più che non un semplice gesto affrettato e meccanico… provi a rifletterci e vedrà che è così”.
Comincio a capire certi collezionisti. Ma è ancora un mondo così frequentato e ricercato quello degli appassionati?
“Durante il boom consumistico degli anni ’80 le case hanno, per rispondere alla crescente richiesta prodotto una miriade di nuovi modelli: inutile dire che a maggiore diffusione perde anche significato il concetto stesso di “tiratura limitata”. Ora che siamo in un periodo di crisi sono rimasti i “veri” appassionati dell’oggetto che, finita la “moda” di acquistare “tirature limitate” tout court, continuano la ricerca di pezzi più o meno rari o particolari scegliendo le Penne che piacciono. Il bello di oggetti del genere, poi, sta proprio nello specifico stile che ogni casa ha saputo nel tempo sviluppare e mantenere. Con la massimizzazione si stava rischiando di perderlo. Oggi, complice la crisi, la gente sceglie con più attenzione, fa acquisti oculati e ben pensati. Un problema può ora essere semmai rappresentato da internet: ben vengano ad esempio forum e blog, ma il rischio di fregature è sempre dietro l’angolo. Magari su internet si possono fare buoni acquisti, ma raramente i tanto sbandierati buoni affari! Quello che spesso dico ai miei clienti è di non farsi problemi e chiedere senza remore un suggerimento, di portarmi pure una stilografica di cui non sanno definire il valore o che devono decidere se riparare o meno. Con la penna fisicamente in mano posso consigliare se ne vale la pena e, nel caso, come meglio procedere”.
Oggi può rappresentare un investimento acquistare penne stilografiche?
“Credo che la cosa importante sia contornarsi di oggetti che piacciano, al di là del valore. Se poi vengono tenuti bene e sono pezzi di buon qualità, che raccontano un passato di grande artigianato, arte o storia, anche il valore mantenuto può essere importante”.
Chi viene da lei in cerca di stilografiche particolari si affida più al gusto o al brand?
“Soprattutto i giovani sono da principio condizionati dalle marche più celebri, come Montblanc o Cartier, ma cerco ogni volta di far scoprire loro anche l’universo italiano: abbiamo ditte storiche come Montblanc, Aurora, Montegrappa, Tibaldi, Columbus o emergenti come: Visconti, Marlen, G.Mazzuoli”.
E come sono viste all’estero?
“Il genio italiano è apprezzato e persino un po’ invidiato: piace la nostra capacità di creare, di dare spazio all’arte e non vergognarci di lasciar fluire la fantasia. Parliamo d’altronde di prodotti che, in controtendenza rispetto alle comunicazioni più fredde e distaccate di web e smartphone, sanno recuperare il valore sociale del bello e dell’utile, ma anche raccontare (e in questo mi piace pensare che gli italiani siano maestri) tutta la passione e l’emozione di cui sanno farsi testimoni e memoria”.
Guardandomi intorno mi sembra di trovarmi in una sorta di museo della stilografica e se ho ben capito è una collezione, la sua, che ammicca anche a Brescia.
“Credo fortemente che le passioni vadano esportate ed offerte il più possibile a chi possa trarne ispirazione e farne tesoro. Per questo, oltre che collezionare, mi piace raccontare il passato e il presente della stilografica. Quando riesco organizzo incontri, mostre e conferenze. Di recente ho tenuto un ciclo di lezioni alla facoltà d’ingegneria dove ho potuto incontrare i tecnici e i designer di domani. Insieme abbiamo immaginato nuovi modelli di penna. Nel mio piccolo, poi, amo disegnare stilografiche particolari: ho creato alcuni esemplari che celebrassero la Mille Miglia richiamandone le auto per stile, resa coloristica e materiali. “Brixia fidelis”, “Città Di Brescia 2005” e “Città di Brescia 2007” sono stilografiche che ho disegnato per la nostra città. In cantiere ho ora qualcosa di davvero originale, ma mi scuserete se non ne parlo: non sarebbe una sorpresa!”
Ci dica almeno questo: ho in mano una buona stilografica se…
“Se il pennino è in oro a 14, 18 o 21 carati. Questo perché l’oro ha buona flessibilità, un’ottima memoria di forma e resiste all’acidità dell’inchiostro. Mi riferisco naturalmente all’oro giallo, poi la superficie può essere decorata con altri materiali… Importante è l’ergonomia: stiamo d’altronde parlando di oggetti belli ma anche da usare, ed ogni mano deve trovare quello che meglio le si adatta. Il corpo infine dev’essere di resina nobile come: celluloide, ebanite o i nuovi moderni acrilici magari prodotto con cura dalle mani di un capace tornista e in grado di resistere nel tempo tanto per tenuta e forma che dal punto di vista dei colori”.
E per conservare al meglio la penna che ci hanno donato o abbiamo scelto?
“Per conservare una stilografica bisogna usarla, tenerla pulita, evitare che l’inchiostro si secchi. Se prevediamo di lasciarla ferma a lungo meglio allora svuotarla e metterla al sicuro da polvere o fonti di calore. Se è fatta di ebanite o celluloide è infine buona norma tenerla lontana dalla luce diretta”.
La ringrazio: questa chiacchierata mi ha davvero emozionato ed ho imparato molto. A presto e a rivederla, sig. Abrami.
“E’ stato un piacere, quando vuole! Ah, aspetti… la mia penna…e dimenticavo: “Biro” è, nel gergo comune, il sinonimo di “penna sfera” e deriva dal nome dato allo strumento dall’inventore: József László Bíró che lo chiamò appunto:”Birome”. Ma le racconterò questa storia un’altra volta”.